La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9691 del 24 marzo 2022 ha accolto il ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Roma che, sulla base dell’esistenza di una cd. “sindrome da alienazione genitoriale” aveva pronunciato la decadenza dalla responsabilità genitoriale di una madre ed il collocamento in struttura comunitaria di un minore (di anni 12), portando all’interruzione di ogni rapporto tra i due. 

La Suprema Corte si è pronunciata in totale dissenso rispetto a quanto disposto dalla Corte d’Appello, mettendo al centro della propria riflessione, in primo luogo, la necessità di rispettare il diritto del minore,  orientandosi unicamente verso la maggiore realizzazione e tutela dello stesso.

Nel caso di specie, il padre aveva richiesto tale provvedimento, sulla base di comportamenti posti in essere dalla madre, genitore collocatario del minore, talmente ostativi nei propri confronti tanto da ledere il godimento del rapporto padre-figlio e creare in quest’ultimo – secondo il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello – una “sindrome da alienazione parentale” nei confronti paterni. 
Tuttavia, nell’ordinanza si legge chiaramente come, la sindrome da alienazione parentale ed ogni sua conseguenza – più o meno evidente che sia – ad oggi, non risultino avere un fondamento scientifico così saldo da poter giustificare decisioni dell’Autorità Giudiziaria così fortemente incisive sulla vita del minore.

Secondo la Corte, infatti, anche una comprovata lesione del diritto alla bigenitorialità non può e non deve implicare una automatica pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale di uno dei due genitori.
Infatti, il principio di bigenitorialità, ovvero la possibilità di entrambi i genitori di poter partecipare attivamente all’educazione, crescita, assistenza dei figli non è un diritto che si realizza a sola tutela del padre o della madre, ma soprattutto deve porsi in favore del figlio.

L’Autorità Giudiziaria ha quindi il dovere di verificare che vi sia un bilanciamento tra la lesione del diritto di un genitore alla propria bigenitorialità ed il diritto proprio del figlio minore a crescere nella propria famiglia e di beneficiare di un rapporto equilibrato sia con la propria madre che con il proprio padre.

Da ultimo, la Suprema Corte sottolinea l’errore commesso dalla Corte d’Appello (e dal Tribunale di primo grado, di conseguenza) nell’aver omesso l’ascolto del figlio minorenne, che, come descritto dall’art. 336 bis del Codice civile se ”abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano” .