Il codice civile prevede agli articolo 291 e ss. c.c. l’istituto dell’adozione di persone di maggiore età.

Il fine ultimo di detta previsione codicistica è quello di conferire lo status di figlio adottivo all’adottato con la particolarità che questo si aggiunge al precedente stato familiare, senza modificarlo. 

Infatti, ai sensi dell’articolo 300 del codice civile, dal momento in cui l’adozione del maggiorenne si perfeziona, l’adottato non vede venir meno i suoi diritti ed obblighi nei confronti della famiglia originaria. Anzi: l’adottato maggiorenne acquisisce il cognome dell’adottante, anteponendolo al proprio. Inoltre, si crea un vincolo giuridico che obbliga reciprocamente le parti del rapporto (adottante ed adottato) agli alimenti legali.

Ulteriore e essenziale conseguenza è che l’adottato acquista i diritti successori di figlio nei confronti dell’adottante. Tuttavia, a differenza della regola codicistica in materia di rapporti di filiazione naturale, nell’adozione di maggiorenne l’adottante non acquista diritti successori nei confronti dell’adottato.

A conferma di ciò vi è il dettato dell’art. 536 del codice civile ove è prevista una equiparazione dei figli adottivi a quelli legittimi, in materia di successione legittima: i primi divengono così titolari del medesimo diritto riservato ai soggetti legittimari.

Alla luce di quanto suesposto, logica conseguenza è affermare che lo stato di figlio adottivo è uno stato definitivo della persona.

La legge, tuttavia, ammette la revoca dell’adozione nei casi tassativamente previsti dall’art. 305 c.c. e seguenti. 

La revoca dell’adozione di maggiorenne può essere pronunciata con sentenza dal Tribunale territorialmente competente  su domanda dell’adottante in caso di indegnità dell’adottato (art. 306 c.c.), o su domanda dell’adottato in caso di indegnità dell’adottante (art. 307 c.c.).

Il termine “indegnità” adoperato nella rubrica dei citati articoli è da riferirsi sicuramente a fatti di rilievo penale posti in essere rispettivamente dall’adottato e dall’adottante. Tali fatti,  tassativamente previsti ex lege, sono costituiti dall’aver attentato alla vita dell’adottante/adottato o del suo coniuge, o dei discendenti o ascendenti, oppure per aver commesso nei confronti di questi ultimi di un delitto punibile con la reclusione non minore a tre anni. 

E’ di tutta evidenza che il concetto di indegnità preso in considerazione dalla norma in esame si distingue da quello che concerne l’indegnità a succedere ( art. 463 c.c.) o dal concetto di ingratitudine verso il donante (art. 801 c.c.): anche in dette norme, i casi di indegnità e di ingratitudine sono previsti tassativamente e ricomprendono una diversa serie di ipotesi rispetto a quelle ex artt. 306 e 307 c.c. .

Tuttavia, appare altrettanto evidente come la ratio sottostante dette disposizioni sia la medesima: il vincolo giuridico che sorge tra adottato e adottante come effetto dell’adozione di maggiorenne è equiparabile, come detto, allo status di figlio naturale.

Alla luce di tutto ciò, sono evidenti gli effetti della revoca ex artt. 306 e 307 c.c.:  l’adottato innanzitutto perde lo stato di figlio adottivo dell’adottante; conseguentemente verranno meno anche i diritti successori, il diritto di portarne il cognome e diritti alimentari.